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Il Centro antico di Napoli: l'arte - Parte terza

Nel suo tempo, il motivo sociale di successo del classicismo rinascimentale è nel quadro di nobiltà e grandezza che l’apparente imitazione dell’antico conferiva ad ogni committente capace di fare le spese, ed è naturale che quanto più recente e magari dubbia fosse la gloria del conquistatore, tanto più vasta ed urgente si presentasse la necessità di dare a questa gloria un’immagine sensibile attraverso la bellezza dell’opera d’arte. Ed è questo il contesto politico-artistico in cui si inserisce la residenza-fortezza di Castelnuovo voluta da Alfonso d’Aragona.

Artisti operanti a Napoli nella seconda metà del ‘400 furono Francesco e Luciano Laurana (Castelnuovo), Giuliano da Mjano (Porta Capuana e Palazzo Como), Benedetto da Majano, Antonio Rossellino, Luca Della Robbia (Chiesa di Monteoliveto).

Le prime opere napoletane del Rinascimento appaiono come un’evidente sovrapposizione delle nuove tendenze formali alle preesistenti, o ancora contemporanee gotico-catalane.

La sua breve stagione (1442-1501) è particolarmente produttiva, ma a differenza di quanto è avvenuto in altri centri italiani, essa non incontra localmente alcuna circostanza che ne favorisca l’attiva diffusione, al di fuori del profondo interesse di Alfonso il Magnanimo. Egli fornisce il più grande modello del comportamento che sappiamo essere stato peculiare del suo tempo, e cioè quello dettato da un amore per l’arte e la cultura, intesi come strumento di glorificazione personale (Arco di Trionfo di Castelnuovo).

Questo programma spiccatamente celebrativo assegna alla scultura un compito primario; anzi, è proprio in questo che va riconosciuta la maggiore peculiarità dell’architettura dell’età aragonese: quella di fare da cornice ad un vasto ciclo figurativo. Ciò che a Napoli non è presente è proprio quell’aspirazione che più altamente definisce l’ambiente Toscano: quella di un’ideale scansione di membrature destinate a configurare uno spazio in cui la scultura si inserisca come un accessorio rappresentativo e non essenziale.

Nel ‘600 e ‘700 andò accentuandosi l’impronta coloristica del Paesaggio urbano, e forse dopo la scomparsa delle forme orientaleggianti dell’Alto Medioevo, questa fu la seconda volta che la città si definì in funzione prevalentemente coloristica.

La produzione più originale e diffusa di questo periodo fu la ceramica. La Maiolica napoletana del Settecento si svolge su vaste superfici e secondo un disegno unitario. In tal senso il “Chiostro Maiolicato di S.Chiara”,realizzato da Domenico Antonio Vaccaro tra il 1739 ed il 1742,non va considerato soltanto come una singolarità locale,ma addirittura come un “Unicum”: il più grande programma tettonico su maiolica esistente nel Mondo Occidentale. Secondo lo stesso gusto formale i pavimenti in maiolica,a grandi disegni di volute,festoni e fiori che seguono i perimetri di pianta e gli altari,sono peculiari delle chiese settecentesche,ed in particolare delle chiese conventuali.



 
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